TOUR LETTERARIO

Il bell’Antonio di Marzamemi: Vitaliano Brancati

Un mare che terrifica e sorride. Un isolotto, con al centro una casina rossa che fugge verso il cielo. La tonnara di Marzamemi, il profumo del pesce appena pescato. La vita dei pescatori e delle persone che hanno ispirato i protagonisti dei suoi capolavori letterari. La cultura di Brancati e più in esteso, dei siciliani, ha un volto barocco, che si esprime attraverso la carnalità e l’eros tipici dell’isola, nonché la disperazione e il vuoto dei suoi personaggi, scovati magari nelle viuzze del borgo. Anche l’antica tonnara incarna i vizi e virtù dell’animo siciliano, ma a Marzamemi e alla sua gente tutto si perdona.

Comiso e la diceria del suo untore: Gesualdo Bufalino

Un fazzoletto di vie patrizie arse dal sole, ricamate dai paramenti sacri delle chiese di Santa Maria delle Stelle, Annunziata e San Biagio. Comiso si ristora nei getti d’acqua di Fonte Diana, sorgente di memoria ellenica, , che, vicino alle terme romane, dona frescura alla città. il castello aragonese con i suoi Resti di una cuba araba, sono il segno della tracotanza dei Naselli, mentre la cappella sepolcrale a otto punte in San Francesco all’Immacolata ne custodisce la pietà. Lungo i vicoli passeggiava il taciturno professore di liceo Gesualdo Bufalino che, con Diceria dell’Untore nel 1981, divenne un caso letterario, vincendo il premio Campiello. Con Le menzogne della notte arrivarono anche il premio Strega e riconoscimenti internazionali. Le sue opere, spesso ambientate nell’estrema provincia iblea, appaiono quasi anacronistiche, ma la libertà del linguaggio crea un Sud espressionistico e barocco, solare e sfrangiato di nero, in una Comiso che trova in Bufalino il faro dell’esistere.

L’esule involontario di Modica: Salvatore Quasimodo

Un viaggio nella memoria, verso un passato di giovinezza e d’infanzia che sembra un sogno, nell’isola d’oro e nel paese natio. Modica si trasforma in un poema, e le sue chiese ne sono le strofe. Ogni vicolo della città è un verso, con enjambement rappresentati dalle fiuredde (edicole votive) o dalle chiavi di volta dei portali d’ingresso. La città è un paradiso perduto, un luogo di espiazione e rinascita: la casa natale, gli odori della madre, l’Archivio con i quadri che ritraggono il poeta ora altezzoso, ora debole e indifeso; il frac indossato per l’assegnazione del Nobel; la stanza della poesia e la voce di Quasimodo, canto ineluttabile alla sua isola. Ovunque Modica diventa una tavolozza poetica, dove Quasimodo intinge la parola per ritrarre i colori di un paesaggio talvolta oscuro, coscienza del dolore umano e della sofferenza che ancora affligge la terra siciliana. Eppure, il poeta non abbandonerà mai la Sicilia: il suo animo resterà diviso tra un’isola che naviga in avventurose aurore e il personale travaglio di uomo, alla ricerca di voci e parole da strappare al libro del mondo.

Il Gattopardo e il suo Castello: Giuseppe Tomasi di Lampedusa

Un castello che affiora nella memoria dello scrittore come un’epoca d’oro perduta, un luogo di apparenze e corruzione, dove il principe Fabrizio sembra condannato a non barare con sé stesso: “se vogliamo che tutto rimanga com’è, bisogna che tutto cambi.” Donnafugata, che nel suo nome evoca la fuga, si estende in una successione di stanze disposte a enfilade, che, come voyeur, spiano la vita patrizia, ignara della propria decadenza: la sala d’attesa con servi in livrea, la sala della musica come palcoscenico di voci, la sala da ballo dove specchi riflettono ancora risolini e ricami di dame pudiche. All’improvviso appare lui, il principe Fabrizio. Sta attraversando il salone degli arazzi, prima quello azzurro, poi quello giallo. Sembra fermarsi ed esclamare: “Che pace, mio Dio, che pace!” Raggiunge i giardini alla francese e all’inglese, dove il sole già calava e i suoi raggi, smessa la prepotenza, illuminavano di luce cortese le araucarie, i pini e i robusti lecci, che facevano la gloria del posto. Supera il labirinto, simbolo di un piacere eterno, e osserva, in cima alle grotte artificiali del parco, il tempietto neoclassico, cercando conforto nel guardare le stelle: “Ve n’era ancora qualcuna proprio su, allo zenith. Come sempre, il vederle lo rianimò. Erano lontane, onnipotenti e, nello stesso tempo, tanto docili ai suoi calcoli; proprio il contrario degli uomini, sempre troppo vicini, deboli e pur tanto riottosi.”

Ispica e il suo romanzo Profumo: Luigi Capuana

In cima alla roccia che scendeva a picco, si scorgevano, illuminati dal sole, i campanili, le cupole delle chiese, le facciate bianche e i tetti scuri di un gruppo di case affacciate proprio all’orlo del precipizio e quasi minaccianti di buttarsi giù. Che fosse Marzallo o Ispica, Luigi Capuana ne rimase pur sempre incantato. All’epoca sindaco di Mineo, Capuana giunse a Ispica nel 1881 e ne colse il Profumo  orientale d’un paese dal duplice volto: quello arcaico della rocca del Fortilitium, dove enormi grotte trogloditiche spalancavano le nere bocche e larghe spire di fumo scappavano come da fucine giganti; quello barocco della chiesa di Santa Maria Maggiore, il cui Cristo alla Colonna avanza ogni Giovedì Santo accompagnato dal rullo dei tamburi e dalle torce dei fazzoletti rossi; o dell’Annunziata, che spia da lontano la processione, aspettando, trepidante,  la sua sfilata dell’indomani con i pretori romani a cavallo accanto al  Cristo alla Croce. E intanto la stessa folla si apre variopinta e rumorosa le cui lamentazioni a canto fermo si confondono con lo strusciare della stoffa di seta delle bandiere sbattute dal vento. (Luigi Capuana, “Profumo“)

Elio Vittorini e le sue città del mondo.

Una musica particolare vibra dalla scrittura di Vittorini. È la musica dei campanili, dei loro rintocchi, dei belati delle Città del Mondo, dove Scicli/Gerusalemme o altro che si chiamasse, diventa “la più bella di tutte le città del mondo… e la gente è contenta nelle città che sono belle”. È la musica incantata degli zufoli di terracotta a forma di Madonna a cavallo impennato, che pestava saraceni, una iconografia che aveva suggestionato la sua infanzia e che ritrova nella prostituta Zobeida del “Garofano rosso”.  È il bisbiglio di “Conversazione in Sicilia”, notturno e timoroso, che giunge da un regno sotterraneo. Una scrittura che diventa una partitura musicale per affrancarsi da un’isola violata, immota, da cui era fuggito da ragazzo. Una continua peregrinazione per liberarsi da quell’ombra luttuosa che avvolgeva il mondo offeso dei suoi anni, di quel Vittorini scrittore siciliano, milanese, ottimista e progressista, e della sua isola a cui tornava sempre, inesorabilmente.